Il riconoscimento precoce dei disturbi dell’alimentazione

Riccardo Dalle Grave

 

Uno dei principali problemi che affliggono il campo dei disturbi dell’alimentazione è il ritardo con cui viene effettuata la diagnosi. Tale ritardo può avere serie ripercussioni sulla storia naturale del disturbo perché più precocemente si inizia un trattamento maggiori sono le possibilità di successo. Purtroppo non sempre è facile per un medico non specialista effettuare una diagnosi precoce dei disturbi dell’alimentazione. Scopo di questo articolo è fornire al medico non specialista alcune informazioni e suggerimenti su come identificare precocemente i nuovi casi dei disturbi dell’alimentazione, valutare il rischio fisico associato ai disturbi dell’alimentazione, effettuare l’Intervento motivazionale ed educativo e inviare il paziente a un centro specialistico.

 

Identificazione di nuovi casi

Gli studi disponibili indicano che meno della metà dei casi clinici di disturbi dell’alimentazione sono identificati a livello di cura primaria. Nonostante ciò, i pazienti affetti da disturbi dell’alimentazione consultano il pediatra di libera scelta o il medico di famiglia frequentemente prima di ricevere la diagnosi per un’ampia varietà di sintomi gastrointestinali, ginecologici e psicologici che potrebbero, se accuratamente valutati, far sospettare la diagnosi di un disturbo dell’alimentazione.

La difficoltà che devono affrontare i pediatri di libera scelta e i medici di medicina generale nel diagnosticare un disturbo dell’alimentazione derivano da due cause principali. La prima riguarda la natura della psicopatologia di questi disturbi, caratterizzata da negazione, ambivalenza, segretezza e vergogna che rendono difficile per il paziente parlare apertamente del problema alimentare con il medico curante. La seconda è la scarsa esperienza clinica dei pediatri di libera scelta e dei medici di medicina generale con i disturbi dell’alimentazione. Questo li può portare a essere ansiosi e insicuri circa il comportamento da tenere, oppure a fare commenti critici verso i comportamenti attuati dal paziente, oppure a sottovalutare i sintomi iniziali del disturbo. Inoltre, la diagnosi a volte non è eseguita se il medico non considera che i disturbi dell’alimentazione possono insorgere anche in gruppi non a rischio come le bambine e i maschi.

L’identificazione precoce dei disturbi dell’alimentazione è importante perché può portare il paziente a iniziare una cura più rapidamente e, come dimostrato da alcune ricerche, migliorare la prognosi di queste patologie. I medici che operano al primo livello di cura sono in una buona posizione per identificare i pazienti che presentano i primi sintomi o anche i prodromi del disturbo dell’alimentazione. L’uso di alcuni questionari semplici di screening può facilitare questo processo, sebbene il più efficace strumento sia che il medico pensi alla possibilità che il paziente possa avere un disturbo dell’alimentazione.

In concreto, non è pratico ne conveniente che il pediatra di libera scelta o il medico di medicina generale scrinino tutti il loro pazienti per i disturbi dell’alimentazione, perché la loro prevalenza nella popolazione generale è bassa. Può, comunque, essere consigliabile che scrinino ogni nuovo paziente usando un paio di domande chiave durante la raccolta dell’anamnesi – per esempio: “Pensa di avere un problema alimentare?” e “Si preoccupa eccessivamente del peso e della forma del suo corpo?”. Se il paziente risponde in modo affermativo a una di queste domande vanno fatte in modo empatico e non giudicante domande specifiche sui comportamenti che adotta per controllare il peso e la forma del suo corpo.

I gruppi ad alto rischio all’interno della popolazione generale da scrinare sono le adolescenti e le giovani donne con IMC basso o elevato, con preoccupazioni per il peso e la forma del corpo, disturbi mestruali o amenorrea, sintomi dispeptici e problemi psicologici.  Nei gruppi ad alto rischio può essere utile usare questionario di screening come lo SCOFF (Sick, Control, One stone, Fat, Food) che appare particolarmente indicato per il setting di medicina primaria perché è costituito da sole 5 domande ideate per chiarire il sospetto che potrebbe essere presente un disturbo dell’alimentazione. Va comunque sottolineato che i questionari non permette di fare una diagnosi, ma solo di considerare il paziente a rischio di avere un disturbo dell’alimentazione.

 

Questionario SCOFF

  • Ti induci il vomito quando ti senti eccessivamente pieno?
  • Ti preoccupi se hai perso il controllo su quanto hai mangiato?
  • Recentemente hai perso più di 6 kg in un periodo di 3 mesi?
  • Pensi di essere grasso, mentre gli altri ti dicono che sei troppo magro?
  • Diresti che il cibo domina la tua vita?

Ogni “sì” equivale a 1 punto; un punteggio di 2 indica una probabile diagnosi di anoressia nervosa o bulimia nervosa

Da “Morgan, J. F., Reid, F., & Lacey, J. H. (2000). The SCOFF questionnaire: a new screening tool for eating disorders. Western Journal of Medicine, 172(3), 164-165.

 

Caratteristiche che fanno sospettare la presenza di anoressia nervosa

Il primo contatto con il pediatra di libera scelta o il medico di famiglia  è generalmente fatto da un membro della famiglia preoccupato, da un amico o da un insegnante, piuttosto che dal paziente. Le preoccupazioni espresse riguardano in genere la perdita di peso, l’adozione di regole dietetiche estreme e rigide, come ad esempio saltare i pasti o eliminare moltissimi alimenti e, in molti casi, un aumento dell’attività fisica. Sono spesso riportati cambiamenti del tono dell’umore e alterazioni del sonno. Le caratteristiche psicopatologiche tipiche sono invece la paura d’ingrassare e la valutazione di se dipendente in modo predominante o esclusivo dal controllo esercitato sul peso, sulla forma del corpo e sull’alimentazione. Queste caratteristiche non sono sempre presenti, in particolare nei adolescenti più giovani a volte non è riportata la paura d’ingrassare, ma solo l’importanza del controllo dell’alimentazione per se.

Nei casi di anoressia nervosa la presenza di emaciazione è il segno da ricercare primariamente, ma nelle fasi inziali del disturbo i pazienti si possono presentare dal medico, anche prima di ave raggiunto una marcata perdita di peso, riportando sintomi fisici aspecifici, come dolori addominali, gonfiore addominale, stipsi, intolleranza al freddo, perdita di capelli, alterazioni della pelle e delle unghie. La presenza di amenorrea associata una perdita di peso non spiegata va sempre investigata nella popolazione a rischio. A volte allergie o intolleranze alimentari presunte e la sindrome da stanchezza cronica possono precedere l’insorgenza di un disturbo dell’alimentazione e causare una confusione diagnostica. Infine, l’arresto della crescita nei bambini deve sempre far sospettare la presenza di un disturbo dell’alimentazione.

In genere, i casi tipici di anoressia nervosa possono essere diagnosticati dal pediatra di libera scelta o dal medico di medicina generale senza troppa difficoltà con la raccolta dell’anamnesi e la valutazione empatica delle attitudini del paziente nei confronti del peso e della forma del suo corpo. Al contrario, la diagnosi è spesso ritardata quando il medico prescrive un eccesso di  esami bioumorali e strumentali o invia il paziente a specialisti che non si occupano di disturbi dell’alimentazione (per esempio, ginecologo, allergologo, gastroenterologo).

 

Caratteristiche che fanno sospettare la presenza di bulimia nervosa

Generalmente i pazienti con bulimia nervosa sono più vecchi di quelli con anoressia nervosa e tendono a consultare il medico di medicina generale da soli. A volte è presente una storia pregressa di anoressia nervosa o di insoddisfazione corporea associata e di vari tentativi di perdita di peso. Con appropriate domande emerge in questi pazienti l’adozione di regole dietetiche estreme e rigide interrotte da episodi bulimici (definiti come l’assunzione di una grande quantità di cibo associata alla sensazione di perdita di controllo) seguiti dall’uso di vomito autoindotto.

Nel caso il paziente non sveli la presenza di un problema alimentare, alcuni sintomi e segni fisici possono indirizzare verso la diagnosi di bulimia nervosa. I sintomi specifici includono la richiesta di perdita di peso, la presenza di alterazioni mestruali e le conseguenze fisiche del vomito autoindotto o dell’uso improprio di lassativi e diuretici. I sintomi non specifici includono stanchezza, sensazione di gonfiore addominale, dolore addominale, stipsi, diarrea, pirosi gastrica e mal di gola. I segni fisici, non sempre presenti, sono la conseguenza del vomito autoindotto (per esempio,  erosioni sul dorso delle mani, erosioni dello smalto dei denti, ingrossamento delle ghiandole parotidee). La presenza di questi sintomi e segni in una giovane donna dovrebbe essere sempre essere considerata un segnale di allarme per un possibile disturbo dell’alimentazione.

 

Diagnosi differenziale

Le principali diagnosi differenziali che il medico di famiglia o il pediatra di libera scelta dovrebbero considerare sono le seguenti:

  • Perdita di peso: malassorbimento (per esempio, morbo celiaco, malattie infiammatorie intestinali), neoplasie, uso illecito di sostanze stupefacenti, infezioni (per esempio TBC), malattie autoimmunitarie, malattie endocrine (per esempio ipertiroidismo).
  • Amenorrea: gravidanza, ovaio policistico, prolattinoma, problemi uterini e altre malattie ipotalamiche.
  • Disturbi psichiatrici: depressione clinica, disturbo ossessivo compulsivo, somatizzazioni e, raramente, psicosi.

 

Valutazione del rischio fisico

Una volta confermato il sospetto di un possibile disturbo dell’alimentazione, il medico dovrebbe valutare il rischio fisico attraverso un accurato esame obiettivo e la prescrizione di esami bioumorali e strumentali.

L’esame obiettivo dovrebbe includere:

  • Misurazione del peso e dell’altezza. Il tasso di perdita di peso negli ultimi tre mesi è un importante indicatore da valutare e una perdita di peso > 1 kg la settimana può porre le indicazioni per un ricovero urgente. Gli adolescenti, inoltre, hanno un aumentato rischio associato alla perdita di peso perché hanno minori depositi di grasso e organi ancora immaturi. In questi casi va valutato il percentile di IMC che quando è al di sotto disotto del 5° percentile indica una condizione di sottopeso. L’uso della curve di accrescimento del peso e dell’altezza sono anche utili per valutare la presenza di un’eventuale arresto della crescita associato alla perdita di peso.
  • Misurazione della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa. La presenza di bradicardia marcata (per esempio < 50 al minuto) e di grave ipotensione (pressione arteriosa massima < 80 mmHg) indicano la presenza di rischio fisico. Spesso è presente ipotensione posturale.
  • Misurazione della temperatura corporea. I pazienti malnutriti hanno in genere le mani e i piedi freddi e una temperatura corporea inferiore ai 36 °C.
  • Esame delle estremità: la presenza di acrocianosi ed edema sono segni di grave malnutrizione.
  • Auscultazione cardiaca: la presenza di battiti irregolari in un paziente con disturbo dell’alimentazione indica la presenza di rischio fisico.

Un’estensiva valutazione laboratoristica e strumentale non è generalmente necessaria nel caso il medico sospetti un disturbo dell’alimentazione in un setting di medicina primaria. Molti esami risultano normali anche in condizione di estremo sottopeso e costituiscono uno scarso ausilio per la valutazione del rischio fisico. Una lista ragionevole di esami da prescrivere, se non ci sono altre indicazioni diagnostiche, è la seguente:

  • Emocromo completo.
  • Elettroliti serici (calcemia, fosforemia, magnesiemia, potassiemia, sodiemia, cloremia).
  • Test di funzione epatica.
  • Glicemia a random.
  • Esame delle urine.
  • ECG: se ci sono sintomi e segni di compromissione cardiaca (bradicardia, anomalie elettrolitiche, IMC < 15 o percentile di IMC equivalente).
  • Test di funzione tiroidea, FSH, LH prolattinemia: per differenziare eventualmente l’amenorrea.
  • DXA: se IMC < 15 o percentile di IMC equivale o amenorrea di durata superiore ai 6 mesi.

 

Intervento motivazionale ed educativo con il/la paziente

I disturbi dell’alimentazione sono patologie egosintoniche: i soggetti colpiti non li considerano un problema e, soprattutto nelle fasi iniziali, sono contenti del dimagrimento raggiunto e del loro controllo alimentare. In questi ultimi anni, fortunatamente, sono stati messi a punto specifici interventi e procedure per favorire la motivazione dei pazienti affetti da disturbo dell’alimentazione. Il giovane paziente non va mai confrontato direttamente e criticato per il suo comportamento, ma va aiutato in modo non giudicante ad analizzare il significato del suo comportamento valutando, a breve e a lungo termine, i vantaggi e gli svantaggi che ha ottenuto dalla perdita di peso e i benefici e i costi che potrà avere da un eventuale cambiamento. Domande che possono essere di aiuto sono: “Mi piacerebbe capire com’è la tua vita attuale… Come vanno le cose? Sei felice? Puoi fare quello che fanno le altre persone? Puoi lasciarti andare ed essere spontaneo? C’è qualcosa che ti piacerebbe che fosse diverso? … Realmente? Hai considerato tutte le cose? Il colloquio motivazionale deve essere affiancato da un intervento educativo che informi in modo scientifico e non terroristico il giovane paziente dei rischi medici e psicologici del suo disturbo, delle opzioni terapeutiche disponibili e dei risultati che può ottenere.

Tale intervento deve essere strutturato in modo idoneo al setting della medicina generale, specifico perchè fondato su incontri brevi e frequenti, su un forte rapporto di fiducia e perchè il medico conosce già da tempo il soggetto e ha potuto confrontare le esperienze raccolte nei precedenti contatti.

 

Invio ai centri di cura specialistici

Il pediatra di libera scelta e il medico di medicina generale dovrebbero essere in rete e avere la possibilità di comunicare facilmente con i centri di riferimento dei disturbi dell’alimentazione per richiedere una valutazione specialistica nel caso abbiano accertato la presenza o abbiano il sospetto di un disturbo dell’alimentazione in un loro assistito. In questo caso dovrebbero preparare una relazione per i colleghi del secondo livello di cura assieme agli esami bioumorali e strumentali eseguiti. Nel caso sia presente una condizione di rischio fisico moderato-elevato o di un’instabilità psichiatrica il medico dovrebbe valutare l’opportunità di fare eseguire una valutazione medica o psichiatrica urgente attraverso l’invio al pronto soccorso di riferimento.

In pratica, in Italia solo poche regioni sono organizzate in un sistema di rete e in molti casi l’invio è effettuato a specialisti di conoscenza che non sempre adottano trattamenti basati sull’evidenza o che seguono le linee guida  esistenti. Dal momento che un trattamento inadeguato può favorire la cronicizzazione del disturbo dell’alimentazione, la scelta del centro di cura secondaria è un passo fondamentale che il medico di medicina generale o il pediatra di libera scelta dovrebbero fare con estrema attenzione. Per valutare se un centro di cura secondario è adeguato per la cura dei disturbi dell’alimentazione il medico dovrebbe considerare i seguenti punti:

  • È consigliabile che il centro sia specializzato nella cura dei disturbi dell’alimentazione e non sia un centro generico di psicoterapia o di dietologia.
  • Il centro dovrebbe avere un’equipe composta da almeno un medico, uno psicologo-psicoterapeuta e un dietista per affrontare le problematiche mediche, psicosociali e nutrizionali dei disturbi dell’alimentazione.
  • Il centro dovrebbe essere in contatto con un centro ospedaliero per un eventuale ricovero riabilitativo e day-hospital (eventualità che si verifica in circa il 30% dei casi).
  • Il centro dovrebbe adottare terapie raccomandate da linee guida e che hanno un’evidenza di efficacia.
  • I trattamenti psicoterapici che non affrontano nei pazienti sottopeso le problematiche alimentari dovrebbero essere evitati perché tendono a perpetuare il disturbo dell’alimentazione ed espongono il pazienti a rischio fisico.
  • I trattamenti esclusivamente dietologici dovrebbero essere evitati perché tendono a intensificare le preoccupazioni per l’alimentazione, il peso e la forma del corpo.
  • I trattamenti dovrebbero fornire sia un programma nutrizionale per la normalizzazione del peso e del comportamento alimentare sia un trattamento psicoterapico per affrontare la psicopatologia del disturbo dell’alimentazione.
  • È fondamentale che nell’equipe sia sempre presente un medico per valutare e trattare le eventuali complicanze mediche associate ai disturbi dell’alimentazione e i disturbi psichiatrici coesistenti.
  • Nella cura degli adolescenti i familiari dovrebbero essere sempre coinvolti attivamente nel trattamento (per esempio con i pasti familiari): la ricerca ha infatti evidenziato che il loro coinvolgimento migliora l’esito della cura.
  • Diffidare dei trattamenti che non forniscono informazioni chiare sulla durata, costi, risultati, modello teorico di riferimento e linee guida adottate.

Nel caso la gestione del paziente con disturbo dell’alimentazione sia condivisa tra il pediatra di libera scelta o il medico di medicina generale e il centro di cura secondario ci deve essere un chiaro accordo tra i professionisti su che ha la responsabilità di monitorare e gestire il rischio fisico del paziente. Questo accordo dovrebbe essere condiviso anche con il paziente e i suoi familiari.

 

Bibliografia

Dalle Grave, R. (2011). Eating disorders: progress and challenges. European Journal of Internal Medicine, 22(2), 153-160.

Dalle Grave, R. (2016). Come vincere i disturbi dell’alimentazione. Un programma basato sulla terapia cognitivo comportamentale Verona: Positive Press.

Dalle Grave , R. (2014). Disturbi dell’alimentazione: una guida pratica per la famiglia. Verona: Positive Press.

Ministero della Salute. (Luglio-Agosto 2013). Appropriatezza clinica, strutturale e operativa nella prevenzione, diagnosi e terapia dei disturbi dell’alimentazione. Quaderni del MInistero della Salute(17/22 ).