La dieta mima digiuno non ha dimostrato di aumentare l’aspettativa di vita negli esseri umani e ha dei rischi potenziali

A cura di Riccardo Dalle Grave

Valter Longo, ricercatore italiano che lavora al Longevity Institute, School of Gerontology, and Department of Biological Sciences dell’University of Southern California a Los Angeles (USA), è diventato famoso per aver proposto una dieta periodica che mima il digiuno che a suo dire sarebbe in grado di aumentare la durata di vita degli esseri umani, rallentando l’invecchiamento, rigenerando le cellule e, come effetto collaterale, favorendo la perdita di peso [1]. La dieta propone per cinque giorni consecutivi, da alternare all’alimentazione abituale, il seguente regime:

  • giorno 1: 1090 kcal (10% proteine, 56% grassi, 34% carboidrati);
  • giorni 2–5 are 725 kcal (9% proteine, 44% grassi, 47% carboidrati).

La maggior parte delle calorie della dieta proviene dai grassi (per es. noci) e dai vegetali, e in quantità ridotta dagli zuccheri e delle proteine.

L’autore ha sviluppato questo regime basandosi su alcuni studi in cui è stato osservato che la restrizione dietetica promuove cambiamenti metabolici e cellulari che influenzano il danno ossidativo e l’infiammazione, ottimizzano il metabolismo energetico e incrementano la protezione cellulare. Inoltre il digiuno intermittente nei topi sembra promuovere la protezione contro il diabete, il cancro, le malattie cardiovascolari e neurodegenerative.

Uno studio del 2015 ha osservato che nei  lieviti, l’alternanza del digiuno periodico e di un medium ricco di nutrienti, ha prolungato la durata di vita indipendentemente dai geni pro-longevità stabiliti, mentre nei “topi” la dieta mima digiuno ha aumentato l’aspettativa di vita media dell’11% , del 18% al 75% del punto di sopravvivenza e solo del 7,6% al 25% del punto di sopravvivenza, mentre non ha avuto alcun effetto sulla massima durata di vita [2].  Sempre in questa pubblicazione sono stati riportati i dati di uno studio pilota eseguito su 19 partecipanti (12 uomini e 7 donne), trattati con tre cicli di 5 giorni della dieta mima digiuno sopra descritta alternati a 25 giorni di alimentazione normale, e di 19 controlli (9 donne e 10 uomini) che hanno seguito la loro dieta abituale non ristretta da un punto di vista calorico. Rispetto al gruppo di controllo, i partecipanti trattati con la dieta mima digiuno hanno avuto alla fine dei tre mesi dello studio una diminuzione significativa della glicemia a digiuno, dell’IGF-1, della proteina C (solo nei 7 partecipanti che avevano elevati livelli in condizioni basali) e del 3% circa del peso senza alcuna modificazione del grasso corporeo totale e del tronco, ma con un lieve aumento della percentuale di massa magra. Nessun effetto significativo è stato ottenuto invece sui marker di rigenerazione cellulare valutati sul numero delle cellule staminali mesenchimali e progenitrici [2].

Uno studio del 2017 ha randomizzato 100 partecipanti sani a tre cicli di 5 giorni della dieta mima digiuno sopra descritta alternati da 25 giorni di alimentazione normale e a tre mesi di dieta non ristretta [3]. Dopo 3 mesi, i controlli sono stati allocati alla dieta mima digiuno e alla conclusione dello studio 71 partecipanti hanno completato tre cicli di questo regime dietetico. Al termine dello studio la dieta mima digiuno ha determinato una riduzione significativa del peso, del grasso corporeo totale e del tronco, della pressione sanguigna e del’IGF-1 [3].

È evidente, anche per chi non si occupa di ricerca, che i dati di questi studi “non” hanno dimostrato che la dieta mima digiuno sia in grado di prolungare la durata di vita negli esseri umani. I risultati indicano solo che nei topi questo tipo di regime dietetico produce un lieve incremento della durata media della vita, mentre negli esseri umani determina un miglioramento a breve termine di alcuni fattori di rischio di malattie non trasmissibili. Inoltre, lo studio non ha confrontato la dieta mima digiuno con una dieta di diversa composizione di nutrienti, ma di simile quantità calorica, per cui non sappiamo se gli effetti osservati sui fattori di rischio siano dovuti alla restrizione dietetica calorica periodica e alla perdita di peso o alla sua composizione di nutrienti. Infine, la durata di solo tre mesi dei due studi non permette di trarre alcuna conclusione sugli effetti a lungo termine di questo regime dietetico.

In conclusione, appare prematuro raccomandare l’uso di questo regime alimentare per aumentare la durata di vita. Inoltre, sebbene nell’esiguo numero di partecipanti altamente selezionati, tre cicli di dieta mima digiuno non sembrino avere avuto effetti negativi [2, 3], è noto da molti anni che l’adozione di diete fortemente ipocaloriche incrementa la preoccupazione per il cibo e il rischio di sviluppare episodi di alimentazione in eccesso e di abbuffata [4-7], favorisce l’aumento di peso a lungo termine negli individui normopeso [8] e in quelli predisposti è un fattore di rischio per lo sviluppo dei disturbi dell’alimentazione di gravità clinica [9-11]. Inoltre, la riduzione dell’assunzione proteica nelle persone sopra i 65 anni di età potrebbe accentuare il processo di sarcopenia e le sue conseguenze negative [12]. Allo stato attuale delle nostre conoscenze questi regimi dietetici dovrebbero essere valutati esclusivamente in setting di ricerca e raccomandanti alla popolazione solo quando i loro effetti benefici e l’assenza di rischi siano stati dimostrati da rigorosi studi randomizzati e controllati di lunga durata eseguiti su un ampio numero di partecipanti.

Bibliografia

  1. Longo, V., La dieta della longevità. 2016, Milano: Vallardi.
  2. Brandhorst, S., et al., A Periodic Diet that Mimics Fasting Promotes Multi-System Regeneration, Enhanced Cognitive Performance, and Healthspan. Cell Metab, 2015. 22(1): p. 86-99.
  3. Wei, M., et al., Fasting-mimicking diet and markers/risk factors for aging, diabetes, cancer, and cardiovascular disease. Sci Transl Med, 2017. 9(377).
  4. Zunker, C., et al., Ecological momentary assessment of bulimia nervosa: does dietary restriction predict binge eating? Behaviour Research and Therapy, 2011. 49(10): p. 714-7.
  5. Herman, C.P. and J. Polivy, Restrained eating, in Obesity, A.J. Stunkard Editor. 1980, W B. Saunders: Philadelphia. p. 208-225.
  6. Nisbett, R.E., Hunger, obesity, and the ventromedial hypothalamus. Psychol Rev, 1972. 79(6): p. 433-53.
  7. Hagan, K.E., K.T. Forbush, and P.Y. Chen, Is Dietary Restraint a Unitary or Multi-Faceted Construct? Psychol Assess, 2016.
  8. Lowe, M.R., et al., Dieting and restrained eating as prospective predictors of weight gain. Front Psychol, 2013. 4: p. 577.
  9. Schaumberg, K. and D. Anderson, Dietary restraint and weight loss as risk factors for eating pathology. Eat Behav, 2016. 23: p. 97-103.
  10. Fairburn, C.G., Cognitive behavior therapy and eating disorders. 2008, New York: Guilford Press.
  11. Stice, E., Interactive and Mediational Etiologic Models of Eating Disorder Onset: Evidence from Prospective Studies. Annu Rev Clin Psychol, 2016. 12: p. 359-81.
  12. Murton, A.J., Muscle protein turnover in the elderly and its potential contribution to the development of sarcopenia. Proc Nutr Soc, 2015. 74(4): p. 387-96.